Antonio Gramsci: “Indifferenti”

…L’indifferenza è il peso mor­to del­la sto­ria. L’indifferenza ope­ra poten­te­men­te nel­la sto­ria. Ope­ra pas­si­va­men­te, ma ope­ra. È la fata­li­tà; è ciò su cui non si può con­ta­re; è ciò che scon­vol­ge i pro­gram­mi, che rove­scia i pia­ni meglio costrui­ti; è la mate­ria bru­ta che stroz­za l’intelligenza. Ciò che suc­ce­de, il male che si abbat­te su tut­ti, avvie­ne per­ché la mas­sa degli uomi­ni abdi­ca alla sua volon­tà, lascia pro­mul­ga­re le leg­gi che solo la rivol­ta potrà abro­ga­re, lascia sali­re al pote­re uomi­ni che poi solo un ammu­ti­na­men­to potrà rove­scia­re. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sor­ve­glia­te da alcun con­trol­lo, tes­so­no la tela del­la vita col­let­ti­va, e la mas­sa igno­ra, per­ché non se ne pre­oc­cu­pa; e allo­ra sem­bra sia la fata­li­tà a tra­vol­ge­re tut­to e tut­ti, sem­bra che la sto­ria non sia altro che un enor­me feno­me­no natu­ra­le, un’eruzione, un ter­re­mo­to del qua­le riman­go­no vit­ti­me tut­ti, chi ha volu­to e chi non ha volu­to, chi sape­va e chi non sape­va, chi era sta­to atti­vo e chi indif­fe­ren­te. Alcu­ni pia­gnu­co­la­no pie­to­sa­men­te, altri bestem­mia­no osce­na­men­te, ma nes­su­no o pochi si doman­da­no: se aves­si fat­to anch’io il mio dove­re, se aves­si cer­ca­to di far vale­re la mia volon­tà, sareb­be suc­ces­so ciò che è successo?
Odio gli indif­fe­ren­ti anche per que­sto: per­ché mi dà fasti­dio il loro pia­gni­steo da eter­ni inno­cen­ti. Chie­do con­to a ognu­no di loro del come ha svol­to il com­pi­to che la vita gli ha posto e gli pone quo­ti­dia­na­men­te, di ciò che ha fat­to e spe­cial­men­te di ciò che non ha fat­to. E sen­to di poter esse­re ine­so­ra­bi­le, di non dover spre­ca­re la mia pie­tà, di non dover spar­ti­re con loro le mie lacrime.(…)” 

11 feb­bra­io 1917

Anto­nio Gram­sci (Ales, 22 gen­na­io 1891 – Roma, 27 apri­le 1937).
Poli­ti­co, filo­so­fo, gior­na­li­sta e cri­ti­co let­te­ra­rio italiano.

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