SARAJEVO: DOMANI E’ UN ALTRO SOGNO…..SI VEDRA’! (Viaggio di un cantastorie nei campi profughi della vergogna)
di Luigi Gugliotta
Si è concluso da poco il Festival dei Teatri d’Arte Mediterranei e già la squadra del Teatro B.Brecht di Formia, capitanata dal Maestro Maurizio Stammati, volge le vele verso l’altra sponda del Mar Adriatico, in Bosnia, a Sarajevo. Sappiamo tutti che il Maestro Stammati non finirà mai di stupirci correndo a distribuire un sorriso, un attimo di gioia e spensieratezza in quelle parti del mondo ove povertà, sofferenza e ingiustizia picchiano più forte; lì ove la dignità delle persone viene messa in secondo piano da guerre, interessi economici e spartizione di territori; lì ove il capitalismo sfrenato e gli affari avvelenano l’ambiente, devastandolo e deturpandolo, e le popolazioni locali sono cacciate con la forza e la violenza dai loro territori, costrette a fuggire e ad abbandonare beni ed affetti di un focolare domestico. Questa volta è l’Europa ad attirare l’attenzione di Maurizio; si l’antica Europa delle grandi potenze coloniali che, dopo la seconda Guerra mondiale (anche se fra tante contraddizioni), sembrava erigersi a paladina della Democrazia, del benessere e dello sviluppo sociale; un’ Europa fondata sul concetto di libera circolazione delle merci e delle genti ma priva nei suoi fondamenti di solidarietà ed accoglienza. Ad un’Europa del benessere guardano, con la speranza di una vita migliore per loro ed i loro figli, centinaia di migliaia di persone che fuggono da quelle situazioni di malessere e violenza summenzionate. Sono uomini, donne e bambini, giovani ed anziani, In fuga dai loro paesi di origine distanti migliaia di chilometri; dopo lunghi viaggi di mesi a piedi o con mezzi di fortuna, vittime di gente senza scrupoli pronti ad arraffare i pochi denari che hanno con se, spesso respinti alle frontiere e sballottati da uno stato all’altro, si ammassano in accampamenti spontanei all’aperto, privi di ogni forma di conforto, esposti a malattie ed a tutti i tipi di violenza (anche interna ai gruppi etnici in fuga), per lo più scalzi, malvestiti ed affamati. Malvisti dalle popolazioni del luogo ove si accampano, sono animati solo dal desiderio di raggiungere parenti ed amici nella Mitteleuropa; bloccati da muri spinati, da servizi di sorveglianza e dalla ottusità di alcuni governanti europei
(che in essi vedono una contaminazione razziale) stazionano anni in questi campi della disperazione o nei cosiddetti centri di accoglienza profughi.
In queste terre di nessuno, ove spesso sono assenti i servizi più elementari, essi aspettano che altri decidano del loro destino e della loro vita. A noi Europei questo basta per ripulirci la coscienza: tratteniamo i profughi, (persone come noi !), in recinti ove forse soggiorneranno per anni senza un futuro per loro ed i loro figli, alla mercé di elemosine internazionali o paghiamo affinché qualcun altro (Turchia docet) ci sbarazzi del problema. Le parole umanità e solidarietà diventano solo voci di un vocabolario! In un campo profughi della Bosnia ritroviamo Maurizio ed I suoi compagni di viaggio a portare un sorriso, calore, conforto e tanta umanità a quelle genti (afgani, iracheni, siriani, curdi ecc. ecc, grandi e bambini), private di tutto; private della loro quotidianità (a cui noi occidentali non facciamo più attenzione, come prendere un caffè al bar, o andare dal barbiere o dalla parrucchiera), private degli affetti dei loro cari ed amici (forse morti sotto le bombe o nella fuga), ma soprattutto private della loro dignità di esseri umani.
Ma leggiamo cosa ci dice il Maestro Stammati, (dal suo diario di viaggio):
Sarajevo 4 ottobre ’21
C’è un’intera umanità in perenne movimento, che la mattina non ha un bar dove andare sempre a fare colazione, per un caffè. Non ha una scuola dove portare i figli, un ufficio, un cantiere, un treno che lo accompagni al lavoro. C’è una intera umanità fatta di donne, uomini, ragazze, ragazzi, bambine, bambini, mani, occhi, capelli, piedi, proprio uguali a noi insomma, che non hanno tutto questo perché qualcun altro ha deciso che la loro città, la loro scuola non è più la loro e da lì li hanno cacciati, bombardati, maltrattati, torturati o semplicemente spaventati, e da lì sono andati via con le buste, le borse, le valigie trasformate in case e le scarpe trasformare in strade, sentieri, confini da oltrepassare. Un pezzetto di questa Umanità abbiamo incontrato a Sarajevo, in uno dei vari campi profughi dove vengono accolti per poter riposare, rifocillarsi e riprendere la fuga verso un altrove che non è ben definito.
Entrare in un luogo così è come svegliarsi nel sogno di un altro, non sai bene chi hai davanti, perché si trova lì e cosa pensa di te, visto che non scappi da nessuno e una casa e un bar ce l’hai.
Ma il teatro è meraviglioso, perché mi ha insegnato ad aspettare, ad aspettare di entrare, ad aspettare la battuta per parlare, aspettare di suonare e di cantare, mi ha insegnato ad ascoltare. E così dopo un mattino trascorso tra un the e un ping pong, una partita a carte e una risata, ecco che parte una parata piccola piccola, un tamburo, un organetto e un pazzeriello marchigiano e il campo si trasforma, si sveglia da quel sogno e allora tutti sgorgano sorrisi, tutti vogliono battere le mani, tutti vogliono tammurriata, tarantella e Bella Ciao. Lì, al campo, Afgani, Siriani, Iracheni, Curdi la conoscono tutti, è un po’ anche la loro.
così il primo e carico di sorrisi, pacche sulle spalle, girotondi e nasi rossi è fatto. Domani…. domani è un altro sogno e sì vedrà!!
Sarajevo 6 ottobre ’21
Come il pitone cambia pelle anche il campo cambia, muta, non è mai uguale. Oggi non c’è il sole, l’autunno annuncia il suo tardivo arrivo con freddo e pioggia, tutti sono più nuvolosi, ma c’è una cosa che non cambia, qua al campo, sono le scarpe. Ieri con il sole sembrava di stare in un campeggio, oggi no, vedere in molti restare con le infradito, faceva male, sopratutto se erano bambini.
Oggi laboratorio burattini, in pochissimi arrivano, ma basta imbracciare un Tamburo e come alla maniera dei veri banditori, nel mio inglese incomprensibilmente comprensibile, come pesci in un acquario corrono i bambini, la giornata si prospetta ricca di avventure. Carta, cartone, nastro, un po’ di stoffa ed è fatta, tutti a metterci le mani a fare nasi, orecchie, bellissime le bambine dai nomi impronunciabili, distinte, eleganti, principesse di terre lontane fuggite da draghi e stregoni malefici, i loro sono burattini con il velo sul capo o con la bandana sulla bocca.
Piove, piove duro e il campo cambia, cambia ancora, sotto una tettoia con legna di recupero si accende un fuoco, una radio canta afgano e i giovani partono a danzare, una di loro indossa un abito realizzato dalla sartoria del campo, e d’un tratto siamo tornati a casa loro, il ritmo delle mani si fa forte, la tettoia sj affolla, ci si abbraccia. Ma la pioggia non abbassa la sua forza, i bambini sembra non accorgersene e sguazzano tra pozzanghere e grondaie. all’uscita incrociamo una lunga fila di dolore, come un rosario fatto di persone e famiglie intere al cancello allineati che aspettano di entrare, per loro sembra non esserci la pioggia, non c’è freddo, solo dolore nelle mani che portano il passato e negli occhi che non vedono futuro. Sì, il campo è come un grande pitone, ingoia ogni cosa… noi… loro… tutti…
Sarajevo 7 ottobre ‘21
“The Game” è il nome che viene dato dai migranti, qui in Bosnia, al tentativo di attraversamento di una frontiera. Come succede nella maggior parte dei casi, i “giocatori in fuga” vengono individuati, a volte spogliati dei propri diritti di esseri umani e rimandati indietro al punto di partenza. Quando ho intuito che qualcuno al campo si stava preparando al Game, mi si è stretto il cuore. C’è chi, qui al campo, lo ha provato 3/5/10 volte, e non è passato. Ci sono famiglie che sono qui da 2/3/4 anni e ancora non riescono a vincerlo “sto Game”. Vengono portati ,da chi prende loro i pochi soldi che hanno , su tra i boschi, e provano a passare il confine… il più delle volte vengono intercettati e rispediti indietro.
Ecco The Game… il gioco che non è un gioco .
Oggi invece un gioco vero lo abbiamo portato al campo, IL TEATRO, piove tanto, la mattina non siamo andati, eravamo in una scuola a fare lo spettacolo, ma appena il nostro pulmino ha passato i controlli all’ingresso del campo, un piccolo corteo festante ci ha seguito per annunciare il nostro arrivo. Sono solo tre giorni ma siamo già parte di loro. Sotto una tettoia in poco tempo con fuori che gronda acqua e freddo, montiamo baracca e burattini, un po’ di sedie ed è subito magia, occhi che si accendono, mani che sbattono, risate che si rincorrono. Ci sono tutte le età, dai piccolissimi, agli adolescenti, agli adulti, tutti i volti della terra, la voce si sparge in un attimo e il miracolo di un po di normalità accade …pulcinella vince sempre, è come loro, un migrante secolare che tra la vita e la morte prova a superare tutto quello che gli tocca in sorte… proprio come loro. Un buffo cantastorie, gli racconta dell’Arca di Noè e i più grandi traducono in persiano per i più piccoli e siamo in un ovunque che è la storia del mondo, del racconto, si fa silenzio, i bambini si abbandonano all’ascolto… poi torna pulcinella contro tutti e torna l’allegria.
Al campo c’è gente che entra anche solo per un piatto caldo, per poi provare “The Game” e intanto piove, piove duro, come il freddo che inizia a pungere la pelle… chissà che questa notte, qualcuno di quei bimbi, pensando a Pulcinella, tra quei boschi bagnati, riesca a vincerlo il suo Game, riesca a farla una pernacchia alla paura, riesca a svegliarsi domani in un mondo normale, dove i bambini vanno a scuola e tra i boschi ci vanno a fare i funghi e le castagne, non a giocarsi la vita a testa e croce. A volte …”…vuless’ arrubba’, senza me fa vede’, tutte e facce da gente…” ( cit. Pino Daniele)
Sarajevo 9 ottobre ‘21
Che cosa resta di questi giorni di vita, di sguardi, di piedi scalzi, tutine e pigiamini, che combattono il gelo che scende, la pioggia che batte e tutto quello che ci siamo raccontati, di questa onda di migranti, questo tzunami di uomini e di donne, che sono loro ma siamo anche noi, sono i nostri nonni, le nostre madri migranti, ai quali hanno rubato tutto, la casa, gli affetti, la dignità di esseri umani, spogliati, umiliati a volte calpestati… restano i sorrisi, i sorrisi e la voglia di meravigliarsi, di un naso rosso, di un burattino che sbatte la testa, di un pallone a forma di mondo palleggiato dalle mani di tutti i colori…
Il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro ma il derubato che piange ruba qualcosa a se stesso, perciò io vi dico: finché sorriderò tu non sarai perduta.
L’essenza della vita non sarà perduta se l’umanità sarà ancora capace di sorridere, affascinarsi, commuoversi, rubando qualcosa agli innumerevoli ladri di identità, diabolici dissimulatori della realtà”. Pierpaolo Pasolini
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* Cliccare…
– Siria, le ‘ferite invisibili’ sui bimbi:
SARAJEVO: DOMANI E’ UN ALTRO SOGNO…..SI VEDRA’!
(Viaggio di un cantastorie nei campi profughi della vergogna)
di Luigi Gugliotta
Si è concluso da poco il Festival dei Teatri d’Arte Mediterranei e già la squadra del Teatro B.Brecht di Formia, capitanata dal Maestro Maurizio Stammati, volge le vele verso l’altra sponda del Mar Adriatico, in Bosnia, a Sarajevo. Sappiamo tutti che il Maestro Stammati non finirà mai di stupirci correndo a distribuire un sorriso, un attimo di gioia e spensieratezza in quelle parti del mondo ove povertà, sofferenza e ingiustizia picchiano più forte; lì ove la dignità delle persone viene messa in secondo piano da guerre, interessi economici e spartizione di territori; lì ove il capitalismo sfrenato e gli affari avvelenano l’ambiente, devastandolo e deturpandolo, e le popolazioni locali sono cacciate con la forza e la violenza dai loro territori, costrette a fuggire e ad abbandonare beni ed affetti di un focolare domestico. Questa volta è l’Europa ad attirare l’attenzione di Maurizio; si l’antica Europa delle grandi potenze coloniali che, dopo la seconda Guerra mondiale (anche se fra tante contraddizioni), sembrava erigersi a paladina della Democrazia, del benessere e dello sviluppo sociale; un’ Europa fondata sul concetto di libera circolazione delle merci e delle genti ma priva nei suoi fondamenti di solidarietà ed accoglienza. Ad un’Europa del benessere guardano, con la speranza di una vita migliore per loro ed i loro figli, centinaia di migliaia di persone che fuggono da quelle situazioni di malessere e violenza summenzionate. Sono uomini, donne e bambini, giovani ed anziani, In fuga dai loro paesi di origine distanti migliaia di chilometri; dopo lunghi viaggi di mesi a piedi o con mezzi di fortuna, vittime di gente senza scrupoli pronti ad arraffare i pochi denari che hanno con se, spesso respinti alle frontiere e sballottati da uno stato all’altro, si ammassano in accampamenti spontanei all’aperto, privi di ogni forma di conforto, esposti a malattie ed a tutti i tipi di violenza (anche interna ai gruppi etnici in fuga), per lo più scalzi, malvestiti ed affamati. Malvisti dalle popolazioni del luogo ove si accampano, sono animati solo dal desiderio di raggiungere parenti ed amici nella Mitteleuropa; bloccati da muri spinati, da servizi di sorveglianza e dalla ottusità di alcuni governanti europei
(che in essi vedono una contaminazione razziale) stazionano anni in questi campi della disperazione o nei cosiddetti centri di accoglienza profughi.
In queste terre di nessuno, ove spesso sono assenti i servizi più elementari, essi aspettano che altri decidano del loro destino e della loro vita. A noi Europei questo basta per ripulirci la coscienza: tratteniamo i profughi, (persone come noi !), in recinti ove forse soggiorneranno per anni senza un futuro per loro ed i loro figli, alla mercé di elemosine internazionali o paghiamo affinché qualcun altro (Turchia docet) ci sbarazzi del problema. Le parole umanità e solidarietà diventano solo voci di un vocabolario! In un campo profughi della Bosnia ritroviamo Maurizio ed I suoi compagni di viaggio a portare un sorriso, calore, conforto e tanta umanità a quelle genti (afgani, iracheni, siriani, curdi ecc. ecc, grandi e bambini), private di tutto; private della loro quotidianità (a cui noi occidentali non facciamo più attenzione, come prendere un caffè al bar, o andare dal barbiere o dalla parrucchiera), private degli affetti dei loro cari ed amici (forse morti sotto le bombe o nella fuga), ma soprattutto private della loro dignità di esseri umani.
Ma leggiamo cosa ci dice il Maestro Stammati, (dal suo diario di viaggio):
Sarajevo 4 ottobre ’21
C’è un’intera umanità in perenne movimento, che la mattina non ha un bar dove andare sempre a fare colazione, per un caffè. Non ha una scuola dove portare i figli, un ufficio, un cantiere, un treno che lo accompagni al lavoro. C’è una intera umanità fatta di donne, uomini, ragazze, ragazzi, bambine, bambini, mani, occhi, capelli, piedi, proprio uguali a noi insomma, che non hanno tutto questo perché qualcun altro ha deciso che la loro città, la loro scuola non è più la loro e da lì li hanno cacciati, bombardati, maltrattati, torturati o semplicemente spaventati, e da lì sono andati via con le buste, le borse, le valigie trasformate in case e le scarpe trasformare in strade, sentieri, confini da oltrepassare. Un pezzetto di questa Umanità abbiamo incontrato a Sarajevo, in uno dei vari campi profughi dove vengono accolti per poter riposare, rifocillarsi e riprendere la fuga verso un altrove che non è ben definito.
Entrare in un luogo così è come svegliarsi nel sogno di un altro, non sai bene chi hai davanti, perché si trova lì e cosa pensa di te, visto che non scappi da nessuno e una casa e un bar ce l’hai.
Ma il teatro è meraviglioso, perché mi ha insegnato ad aspettare, ad aspettare di entrare, ad aspettare la battuta per parlare, aspettare di suonare e di cantare, mi ha insegnato ad ascoltare. E così dopo un mattino trascorso tra un the e un ping pong, una partita a carte e una risata, ecco che parte una parata piccola piccola, un tamburo, un organetto e un pazzeriello marchigiano e il campo si trasforma, si sveglia da quel sogno e allora tutti sgorgano sorrisi, tutti vogliono battere le mani, tutti vogliono tammurriata, tarantella e Bella Ciao. Lì, al campo, Afgani, Siriani, Iracheni, Curdi la conoscono tutti, è un po’ anche la loro.
così il primo e carico di sorrisi, pacche sulle spalle, girotondi e nasi rossi è fatto. Domani…. domani è un altro sogno e sì vedrà!!
Sarajevo 6 ottobre ’21
Come il pitone cambia pelle anche il campo cambia, muta, non è mai uguale. Oggi non c’è il sole, l’autunno annuncia il suo tardivo arrivo con freddo e pioggia, tutti sono più nuvolosi, ma c’è una cosa che non cambia, qua al campo, sono le scarpe. Ieri con il sole sembrava di stare in un campeggio, oggi no, vedere in molti restare con le infradito, faceva male, sopratutto se erano bambini.
Oggi laboratorio burattini, in pochissimi arrivano, ma basta imbracciare un Tamburo e come alla maniera dei veri banditori, nel mio inglese incomprensibilmente comprensibile, come pesci in un acquario corrono i bambini, la giornata si prospetta ricca di avventure. Carta, cartone, nastro, un po’ di stoffa ed è fatta, tutti a metterci le mani a fare nasi, orecchie, bellissime le bambine dai nomi impronunciabili, distinte, eleganti, principesse di terre lontane fuggite da draghi e stregoni malefici, i loro sono burattini con il velo sul capo o con la bandana sulla bocca.
Piove, piove duro e il campo cambia, cambia ancora, sotto una tettoia con legna di recupero si accende un fuoco, una radio canta afgano e i giovani partono a danzare, una di loro indossa un abito realizzato dalla sartoria del campo, e d’un tratto siamo tornati a casa loro, il ritmo delle mani si fa forte, la tettoia sj affolla, ci si abbraccia. Ma la pioggia non abbassa la sua forza, i bambini sembra non accorgersene e sguazzano tra pozzanghere e grondaie. all’uscita incrociamo una lunga fila di dolore, come un rosario fatto di persone e famiglie intere al cancello allineati che aspettano di entrare, per loro sembra non esserci la pioggia, non c’è freddo, solo dolore nelle mani che portano il passato e negli occhi che non vedono futuro. Sì, il campo è come un grande pitone, ingoia ogni cosa… noi… loro… tutti…
Sarajevo 7 ottobre ‘21
“The Game” è il nome che viene dato dai migranti, qui in Bosnia, al tentativo di attraversamento di una frontiera. Come succede nella maggior parte dei casi, i “giocatori in fuga” vengono individuati, a volte spogliati dei propri diritti di esseri umani e rimandati indietro al punto di partenza. Quando ho intuito che qualcuno al campo si stava preparando al Game, mi si è stretto il cuore. C’è chi, qui al campo, lo ha provato 3/5/10 volte, e non è passato. Ci sono famiglie che sono qui da 2/3/4 anni e ancora non riescono a vincerlo “sto Game”. Vengono portati ,da chi prende loro i pochi soldi che hanno , su tra i boschi, e provano a passare il confine… il più delle volte vengono intercettati e rispediti indietro.
Ecco The Game… il gioco che non è un gioco .
Oggi invece un gioco vero lo abbiamo portato al campo, IL TEATRO, piove tanto, la mattina non siamo andati, eravamo in una scuola a fare lo spettacolo, ma appena il nostro pulmino ha passato i controlli all’ingresso del campo, un piccolo corteo festante ci ha seguito per annunciare il nostro arrivo. Sono solo tre giorni ma siamo già parte di loro. Sotto una tettoia in poco tempo con fuori che gronda acqua e freddo, montiamo baracca e burattini, un po’ di sedie ed è subito magia, occhi che si accendono, mani che sbattono, risate che si rincorrono. Ci sono tutte le età, dai piccolissimi, agli adolescenti, agli adulti, tutti i volti della terra, la voce si sparge in un attimo e il miracolo di un po di normalità accade …pulcinella vince sempre, è come loro, un migrante secolare che tra la vita e la morte prova a superare tutto quello che gli tocca in sorte… proprio come loro. Un buffo cantastorie, gli racconta dell’Arca di Noè e i più grandi traducono in persiano per i più piccoli e siamo in un ovunque che è la storia del mondo, del racconto, si fa silenzio, i bambini si abbandonano all’ascolto… poi torna pulcinella contro tutti e torna l’allegria.
Al campo c’è gente che entra anche solo per un piatto caldo, per poi provare “The Game” e intanto piove, piove duro, come il freddo che inizia a pungere la pelle… chissà che questa notte, qualcuno di quei bimbi, pensando a Pulcinella, tra quei boschi bagnati, riesca a vincerlo il suo Game, riesca a farla una pernacchia alla paura, riesca a svegliarsi domani in un mondo normale, dove i bambini vanno a scuola e tra i boschi ci vanno a fare i funghi e le castagne, non a giocarsi la vita a testa e croce. A volte …”…vuless’ arrubba’, senza me fa vede’, tutte e facce da gente…” ( cit. Pino Daniele)
Sarajevo 9 ottobre ‘21
Che cosa resta di questi giorni di vita, di sguardi, di piedi scalzi, tutine e pigiamini, che combattono il gelo che scende, la pioggia che batte e tutto quello che ci siamo raccontati, di questa onda di migranti, questo tzunami di uomini e di donne, che sono loro ma siamo anche noi, sono i nostri nonni, le nostre madri migranti, ai quali hanno rubato tutto, la casa, gli affetti, la dignità di esseri umani, spogliati, umiliati a volte calpestati… restano i sorrisi, i sorrisi e la voglia di meravigliarsi, di un naso rosso, di un burattino che sbatte la testa, di un pallone a forma di mondo palleggiato dalle mani di tutti i colori…
Il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro ma il derubato che piange ruba qualcosa a se stesso, perciò io vi dico: finché sorriderò tu non sarai perduta.
L’essenza della vita non sarà perduta se l’umanità sarà ancora capace di sorridere, affascinarsi, commuoversi, rubando qualcosa agli innumerevoli ladri di identità, diabolici dissimulatori della realtà”.
Pierpaolo Pasolini
___________
* Cliccare…
– Siria, le ‘ferite invisibili’ sui bimbi:
– Siria.Campi profughi devastati…
– Siria, campi profughi diventati….
– Siria, il freddo che uccide…
– In Siria la gente vive in condizioni disumane
– Restare nella complessità
– I dimenticati di Lipa, intrappolati…