poesia: ‘patria’

La patria è una cul­la che ti acco­glie sen­za conoscerti
e ti don­do­la fra le sue braccia.
E’ una cul­la di chi­lo­me­tri e chilometri
che da neo­na­to a vec­chio canuto,
se sei for­tu­na­to a restarci,
ti ospi­ta e ti riscal­da nel suo vario­pin­to seno.
Sei pic­co­lis­si­mo per lei, un pun­ti­no infinitesimo
fra le sue col­tri arabescate,
ma a te essa dona,
fin da quan­do apri gli occhi alla vita,
tut­ti i suoi ine­sti­ma­bi­li tesori.
E tu respi­ri i suoi colo­ri, la sua aria, la sua luce.
Tu non hai chie­sto niente.
Non l’hai scel­ta deliberatamente.
Lei è come una madre che ti dà la vita
e poi ti tra­smet­te tut­to di sè, nel bene e nel male.
La patria è come una coltre
che ti copre e ti avvol­ge fin dal pri­mo vagito.
Per te è azzur­ra e soffice
per lui bian­ca e spessa
per altri gri­gi­na e stinta,
ma per tut­ti è cal­da ugualmente.
E la sua lingua
con tut­te le sue parole,
i suoi nomi­gno­li, i suoi accenti,
il suo fami­lia­re eco
di gior­ni e di secoli
ti lega a sè per sempre
per­chè scor­re nel­le tue vene dal pri­mo tuo giorno
come un san­gue vivificatore.
Le sue cit­tà maestose,
i suoi pae­si­ni minu­sco­li e sperduti
i suoi mon­ti imper­vi e vedeggianti,
i suoi laghi inca­sto­na­ti come gemme
i suoi mari pesco­si, le sue spiag­ge bianche
i suoi duo­mi e le sue piazze
il pen­sie­ro dei suoi figli di ora
e di quel­li che tac­cia­no da secoli,
ma par­la­no più dei vivi nel­le paro­le dei libri,
sono nel tuo DNA, come un mar­chio ereditario.
Spes­so uno non sa cosa sia la patria
fin­chè ne man­gia a sazietà
rite­nen­do­la un pane a vol­te saporito,
ma tan­to tan­to scontato.
La tua patria
l’apprezzi vera­men­te sen­za enfasi
ed inu­ti­li campanilismi,
ma con la devo­zio­ne ed il rimpianto
di un figlio per una madre lontana,
quan­do da lei ti distacchi
e ti tra­pian­ti in un’altra patria.
Allo­ra, sen­za voler­lo, d’istinto
con uno slan­cio sin­ce­ro che sgor­ga dal cuore
rim­pian­gi quel­la culla
che ti ha accol­to e cresciuto
pla­sman­do­ti a suo modo
ed infon­den­do­ti il suo incon­fon­di­bi­le colore.
E spes­so soffri
per­chè ti man­ca que­sto con­tat­to amico
come il seno di una madre.
Ma nes­su­no ne ha colpa.
L’altra patria è patria per i suoi
e un’altra per altri ancora.
Cer­to, a vol­te, disprez­zia­mo i nuo­vi compatrioti
per­chè, abi­tua­ti a cusci­ni di seta,
ci paion ruvi­di quel­li di telaccia,
oppu­re ci sen­tia­mo borio­sa­men­te superiori
accan­to ad igno­ran­ti sottosviluppati.
Ciò ha por­ta­to spes­so, nei deda­li del­la storia,
a far del­la patria una spor­ca prepotente,
impe­rio­sa, pro­fit­ta­tri­ce e domi­na­tri­ce dei ‘’diver­si’’.
E tut­ti i gran­di con­dot­tie­ri ed i gran­di imperi
han­no por­ta­to ai vinti
pro­gres­so e lumi di vio­len­za e morte.
La patria è un patchword
di mil­le pro­fu­mi, di mil­le diversità
di miglia­ia di esse­ri diversi
che vivo­no sot­to la stes­sa vol­ta stellata
con­di­vi­den­do una terra.
Ma non è bel­la l’altisonante retorica
il roboan­te e vuo­to patriot­ti­smo cie­co e sordo
a tut­ti gli altri patriot­ti­smi che sono suoi fratelli
abi­tan­ti in altri luo­ghi del pia­ne­ta e del cosmo.
Patria dell’uomo
sareb­be stu­pen­do fos­se il mon­do intero,
anzi, tut­to il creato:
cosa qua­si impos­si­bi­le per noi, limi­ta­tis­si­me bestiole
del tem­po e del­lo spazio.
Cit­ta­di­ni del mondo
si pro­cla­ma­no gli illuministi
appli­can­do però que­sta sacro­san­ta ricetta
con la fer­rea ragio­ne che appiat­ti­sce ed omette
il diverso,
ren­de giu­sti­zia, ma depau­pe­ra e scolora.
La natu­ra ci insegna
qua­le teso­ro sia il suo piro­tec­ni­co magma:
ogni fio­re è patria per le api,
ogni mon­te per stam­bec­chi e cervi
ogni abis­so per i suoi pesci e squali.
Per me, patria è l’Italia,
pote­va esser­lo l’Abissinia, il Perù o l’India
se fos­si nata a Calcutta.
La sua ban­die­ra sem­pre mi commuove
ed i suoi colo­ri, mi dan­no qui, nel­la mia secon­da patria,
emo­zio­ni e rim­pian­ti, ricor­di bel­li e fantastici
brut­ti ed anche ango­scian­ti, scor­ci di luce e di buio
che han­no fat­to da sfon­do alla mia giovinezza.
Que­sto è patria:
una gran­dis­si­ma fami­glia, infi­ni­ta­men­te complessa
e dif­fi­ci­le da gestire,
intri­ca­ta di gusti, di usi, di pen­sie­ri comu­ni e diversi
che però sen­te di voler resta­re attor­no allo stes­so tavolo
per con­di­vi­de­re con tut­ti i suoi membri
i pran­zi e le cene dia­lo­gan­do con la stes­sa favella.
E, tut­ti i cit­ta­di­ni dovreb­be­ro esse­re one­sti e consapevoli
per aiu­tar­la a pro­ce­de­re lun­go la sua stra­da terrena.
Ma basta.
La mia patria lon­ta­na è den­to di me
per­chè in essa mi è toc­ca­to in sor­te di nascere
ed essa mi ha invo­lon­ta­ria­men­te permeato
con le sue paro­le, la sua arte, il suo pen­sie­ro negli anni.
Nel tepo­re del­le sue brac­cia mi sen­to a casa
indi­pen­den­te­men­te dai suoi mol­ti errori
per cui potrei rivol­ge­re del­le cri­ti­che o dei rimproveri.
E’ spes­so così dif­fi­ci­le andar d’accordo in cin­que o sei in famiglia,
figu­ria­mo­ci se si è milio­ni di for­mi­che sparse,
tan­to simi­li, ma tan­to dif­fe­ren­ti ad un tempo.
A lei io sono lega­ta strettamente
come le pagi­ne di un libro
di cui fan­no inscin­di­bil­men­te parte
che se le strap­pi c’è un vuo­to enorme
e del­la tra­ma il sen­so è incom­piu­to e povero.
Lei vive in me.
nel­la par­te più segre­ta e pro­tet­ta del mio pensiero
dove da anni sta in un dol­ce e bene­fi­co letargo
che ali­men­ta e illu­mi­na tut­ti i miei nuo­vi giorni.

Lucia­na Frassetto

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