Le rane bollite…

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giu­gno 2013

LE RANE BOLLITE
di Mar­co Malavasi

Alcu­ni gior­ni fa leg­ge­vo un espe­ri­men­to real­men­te effet­tua­to in un’università ame­ri­ca­na alla fine del dician­no­ve­si­mo seco­lo che, con poco rispet­to per gli ani­ma­li da labo­ra­to­rio, ha dimo­stra­to qual­co­sa di incre­di­bi­le: gli scien­zia­ti han­no get­ta­to una rana in una pen­to­la di acqua bol­len­te, e que­sta è imme­dia­ta­men­te schiz­za­ta fuo­ri con un gran sal­to, per sal­var­si da quel­la che sareb­be sta­ta un’orribile mor­te cer­ta. E qui la sor­pre­sa: se la rana vie­ne posta nel­la pen­to­la con acqua fred­da, che i ricer­ca­to­ri poi ini­zia­no a riscal­da­re, len­ta­men­te ma in modo costan­te, l’animale rima­ne nel­la pen­to­la “adat­tan­do­si” alla cre­scen­te tem­pe­ra­tu­ra fino a fini­re bollita.
A que­sto pun­to ho visto un paral­le­li­smo agghiac­cian­te: pro­via­mo a sosti­tui­re il grup­po dei ricer­ca­to­ri con l’elite che ormai gover­na al ribas­so non più attra­ver­so la poli­ti­ca – ma con la finan­za – que­sto mon­do sem­pre più brut­to e sem­pre più glo­ba­liz­za­to, la pen­to­la e l’acqua con la cater­va di prov­ve­di­men­ti e di “misu­re eco­no­mi­che” che ormai da anni ven­go­no pro­pi­na­te in Gre­cia, ma anche in Ita­lia e non solo, con caden­ze da goc­cia cine­se, dai vari “gover­ni” più o meno elet­ti dal popo­lo. Chia­ro ades­so chi fa la rana? Ecco per­ché lo tro­vo agghiac­cian­te; e a nul­la val­go­no le giu­sti­fi­ca­zio­ni del tipo «anco­ra la gen­te non è arri­va­ta al limi­te, ma tra un pò rea­gi­rà»: con tut­ta pro­ba­bi­li­tà la rana, men­tre l’acqua si face­va sem­pre più cal­da, face­va le stes­se elu­cu­bra­zio­ni. Mi si potreb­be obiet­ta­re che, fino a pro­va con­tra­ria, gli esse­ri uma­ni han­no capa­ci­tà cogni­ti­ve mol­to supe­rio­ri a quel­le del­le rane; a par­te il fat­to che ciò non è sem­pre vero, pro­via­mo a ripor­tar­ci indie­tro nel tem­po, a pochi anni fa, e ad imma­gi­na­re che, in un tele­gior­na­le qual­sia­si, ven­ga data la noti­zia che di pun­to in bian­co le rela­zio­ni nel mon­do del lavo­ro, gli sti­pen­di e le pen­sio­ni, gli ammor­tiz­za­to­ri socia­li ove pre­sen­ti, insom­ma tut­ta la nostra vita, e quel che è peg­gio, quel­la dei nostri figli, aves­se­ro subi­to con decor­ren­za imme­dia­ta i cam­bia­men­ti e tagli come quel­li che poi ci sono sta­ti impo­sti: ebbe­ne qua­le sareb­be sta­ta la nostra rea­zio­ne? Sarem­mo o no schiz­za­ti fuo­ri dal­la pen­to­la e diret­ta­men­te nel­le piaz­ze per difen­de­re le nostre vite come la rana mes­sa nell’acqua bol­len­te? Fac­cia­mo­ci caso: la caden­za degli annun­ci e del­le deci­sio­ni-impo­si­zio­ni segue la logi­ca del pesca­to­re: tene­re la len­za sem­pre in tiro per evi­ta­re che il pesce si libe­ri, con­ce­den­do alla biso­gna anche qual­che metro di filo, tan­to poi lo recu­pe­ra a gio­co lun­go, sen­za fret­ta, ma ine­so­ra­bi­le come l’acqua che si fa sem­pre più cal­da. L’esperimento ci inse­gna que­sto: una vol­ta che si pre­fe­ri­sce, inve­ce di rea­gi­re pron­ta­men­te e con for­za per sal­va­guar­da­re se stes­si, il pros­si­mo, chi ci è caro e non ulti­mi i valo­ri in cui cre­dia­mo e tut­to ciò che chi ci ha pre­ce­du­to ha con­qui­sta­to per noi a prez­zo anche del­la vita, ci adat­tia­mo e tiria­mo a cam­pa­re, con ogni pro­ba­bi­li­tà si fini­sce bol­li­ti (e maz­zia­ti). Il pro­ble­ma non è il “quan­do” rea­gi­re, ma il “se” rea­gi­re; con tut­ta pro­ba­bi­li­tà la rana che finì bol­li­ta, nell’adattarsi all’acqua sem­pre più cal­da, all’inizio si è anche sen­ti­ta bene al cal­duc­cio – in defi­ni­ti­va il cam­bia­men­to si pote­va accet­ta­re – oppu­re pen­sò che «c’è chi sta peg­gio» e que­sto le ha fat­to riman­da­re il momen­to in cui spic­ca­re il sal­to di cui sareb­be sta­ta capa­cis­si­ma, la pen­to­la non era coper­ta, e che la avreb­be sal­va­ta dal­la mor­te atro­ce a cui anda­va incon­tro: sicu­ra­men­te poi ad un cer­to pun­to, quan­do il calo­re diven­tò sgra­de­vo­le, com­mi­se l’errore fata­le di cre­de­re che maga­ri si trat­tas­se di una cosa pas­seg­ge­ra: quan­te vol­te lo sta­gno si era riscal­da­to in esta­te. Pur­trop­po, quan­do poi la situa­zio­ne si fece dav­ve­ro inso­ste­ni­bi­le a tut­to intor­no diven­tò invi­vi­bi­le, l’amara sco­per­ta: non ave­va più la for­za di spic­ca­re quel sal­to tan­te vol­te rimandato.
Mi chie­do a que­sto pun­to se il fune­sto esi­to dell’esperimento sia poi col­pa solo dei sadi­ci ricer­ca­to­ri, i qua­li, se accu­sa­ti di aver ucci­so la rana, potreb­be­ro sem­pre obiet­ta­re che sta­va­no facen­do solo il pro­prio mestie­re, che la pen­to­la era sco­per­chia­ta, che la scien­za – ogni scien­za – può cau­sa­re vit­ti­me che si chia­ma­no effet­ti col­la­te­ra­li, che nes­su­no in defi­ni­ti­va ave­va costret­to la rana a rima­ne­re nell’acqua.
E que­sta è una gran­de veri­tà: non pos­sia­mo sicu­ra­men­te aspet­tar­ci che chi cau­sa il male altrui si pre­oc­cu­pi del­le vit­ti­me del suo “lavo­ro”, che chi vor­reb­be ripor­tar­ci indie­tro di due­cen­to anni ci ven­ga a met­te­re l’ora lega­le all’orologio; per­ciò non esi­sto­no ali­bi: se gli “scien­zia­ti” fan­no il loro lavo­ro, è solo e sol­tan­to com­pi­to del­le rane di tut­to il mon­do fare quel sal­to che può sal­va­re loro stes­se, i loro discen­den­ti, gli idea­li per cui altri han­no dato la vita per­chè la pen­to­la in cui era­no ave­va il coperchio.

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