Alcuni giorni fa leggevo un esperimento realmente effettuato in un’università americana alla fine del diciannovesimo secolo che, con poco rispetto per gli animali da laboratorio, ha dimostrato qualcosa di incredibile: gli scienziati hanno gettato una rana in una pentola di acqua bollente, e questa è immediatamente schizzata fuori con un gran salto, per salvarsi da quella che sarebbe stata un’orribile morte certa. E qui la sorpresa: se la rana viene posta nella pentola con acqua fredda, che i ricercatori poi iniziano a riscaldare, lentamente ma in modo costante, l’animale rimane nella pentola “adattandosi” alla crescente temperatura fino a finire bollita.
A questo punto ho visto un parallelismo agghiacciante: proviamo a sostituire il gruppo dei ricercatori con l’elite che ormai governa al ribasso non più attraverso la politica – ma con la finanza – questo mondo sempre più brutto e sempre più globalizzato, la pentola e l’acqua con la caterva di provvedimenti e di “misure economiche” che ormai da anni vengono propinate in Grecia, ma anche in Italia e non solo, con cadenze da goccia cinese, dai vari “governi” più o meno eletti dal popolo. Chiaro adesso chi fa la rana? Ecco perché lo trovo agghiacciante; e a nulla valgono le giustificazioni del tipo «ancora la gente non è arrivata al limite, ma tra un pò reagirà»: con tutta probabilità la rana, mentre l’acqua si faceva sempre più calda, faceva le stesse elucubrazioni. Mi si potrebbe obiettare che, fino a prova contraria, gli esseri umani hanno capacità cognitive molto superiori a quelle delle rane; a parte il fatto che ciò non è sempre vero, proviamo a riportarci indietro nel tempo, a pochi anni fa, e ad immaginare che, in un telegiornale qualsiasi, venga data la notizia che di punto in bianco le relazioni nel mondo del lavoro, gli stipendi e le pensioni, gli ammortizzatori sociali ove presenti, insomma tutta la nostra vita, e quel che è peggio, quella dei nostri figli, avessero subito con decorrenza immediata i cambiamenti e tagli come quelli che poi ci sono stati imposti: ebbene quale sarebbe stata la nostra reazione? Saremmo o no schizzati fuori dalla pentola e direttamente nelle piazze per difendere le nostre vite come la rana messa nell’acqua bollente? Facciamoci caso: la cadenza degli annunci e delle decisioni-imposizioni segue la logica del pescatore: tenere la lenza sempre in tiro per evitare che il pesce si liberi, concedendo alla bisogna anche qualche metro di filo, tanto poi lo recupera a gioco lungo, senza fretta, ma inesorabile come l’acqua che si fa sempre più calda. L’esperimento ci insegna questo: una volta che si preferisce, invece di reagire prontamente e con forza per salvaguardare se stessi, il prossimo, chi ci è caro e non ultimi i valori in cui crediamo e tutto ciò che chi ci ha preceduto ha conquistato per noi a prezzo anche della vita, ci adattiamo e tiriamo a campare, con ogni probabilità si finisce bolliti (e mazziati). Il problema non è il “quando” reagire, ma il “se” reagire; con tutta probabilità la rana che finì bollita, nell’adattarsi all’acqua sempre più calda, all’inizio si è anche sentita bene al calduccio – in definitiva il cambiamento si poteva accettare – oppure pensò che «c’è chi sta peggio» e questo le ha fatto rimandare il momento in cui spiccare il salto di cui sarebbe stata capacissima, la pentola non era coperta, e che la avrebbe salvata dalla morte atroce a cui andava incontro: sicuramente poi ad un certo punto, quando il calore diventò sgradevole, commise l’errore fatale di credere che magari si trattasse di una cosa passeggera: quante volte lo stagno si era riscaldato in estate. Purtroppo, quando poi la situazione si fece davvero insostenibile a tutto intorno diventò invivibile, l’amara scoperta: non aveva più la forza di spiccare quel salto tante volte rimandato.
Mi chiedo a questo punto se il funesto esito dell’esperimento sia poi colpa solo dei sadici ricercatori, i quali, se accusati di aver ucciso la rana, potrebbero sempre obiettare che stavano facendo solo il proprio mestiere, che la pentola era scoperchiata, che la scienza – ogni scienza – può causare vittime che si chiamano effetti collaterali, che nessuno in definitiva aveva costretto la rana a rimanere nell’acqua.
E questa è una grande verità: non possiamo sicuramente aspettarci che chi causa il male altrui si preoccupi delle vittime del suo “lavoro”, che chi vorrebbe riportarci indietro di duecento anni ci venga a mettere l’ora legale all’orologio; perciò non esistono alibi: se gli “scienziati” fanno il loro lavoro, è solo e soltanto compito delle rane di tutto il mondo fare quel salto che può salvare loro stesse, i loro discendenti, gli ideali per cui altri hanno dato la vita perchè la pentola in cui erano aveva il coperchio.
www.eureka.gr
giugno 2013
LE RANE BOLLITE
di Marco Malavasi
Alcuni giorni fa leggevo un esperimento realmente effettuato in un’università americana alla fine del diciannovesimo secolo che, con poco rispetto per gli animali da laboratorio, ha dimostrato qualcosa di incredibile: gli scienziati hanno gettato una rana in una pentola di acqua bollente, e questa è immediatamente schizzata fuori con un gran salto, per salvarsi da quella che sarebbe stata un’orribile morte certa. E qui la sorpresa: se la rana viene posta nella pentola con acqua fredda, che i ricercatori poi iniziano a riscaldare, lentamente ma in modo costante, l’animale rimane nella pentola “adattandosi” alla crescente temperatura fino a finire bollita.
A questo punto ho visto un parallelismo agghiacciante: proviamo a sostituire il gruppo dei ricercatori con l’elite che ormai governa al ribasso non più attraverso la politica – ma con la finanza – questo mondo sempre più brutto e sempre più globalizzato, la pentola e l’acqua con la caterva di provvedimenti e di “misure economiche” che ormai da anni vengono propinate in Grecia, ma anche in Italia e non solo, con cadenze da goccia cinese, dai vari “governi” più o meno eletti dal popolo. Chiaro adesso chi fa la rana? Ecco perché lo trovo agghiacciante; e a nulla valgono le giustificazioni del tipo «ancora la gente non è arrivata al limite, ma tra un pò reagirà»: con tutta probabilità la rana, mentre l’acqua si faceva sempre più calda, faceva le stesse elucubrazioni. Mi si potrebbe obiettare che, fino a prova contraria, gli esseri umani hanno capacità cognitive molto superiori a quelle delle rane; a parte il fatto che ciò non è sempre vero, proviamo a riportarci indietro nel tempo, a pochi anni fa, e ad immaginare che, in un telegiornale qualsiasi, venga data la notizia che di punto in bianco le relazioni nel mondo del lavoro, gli stipendi e le pensioni, gli ammortizzatori sociali ove presenti, insomma tutta la nostra vita, e quel che è peggio, quella dei nostri figli, avessero subito con decorrenza immediata i cambiamenti e tagli come quelli che poi ci sono stati imposti: ebbene quale sarebbe stata la nostra reazione? Saremmo o no schizzati fuori dalla pentola e direttamente nelle piazze per difendere le nostre vite come la rana messa nell’acqua bollente? Facciamoci caso: la cadenza degli annunci e delle decisioni-imposizioni segue la logica del pescatore: tenere la lenza sempre in tiro per evitare che il pesce si liberi, concedendo alla bisogna anche qualche metro di filo, tanto poi lo recupera a gioco lungo, senza fretta, ma inesorabile come l’acqua che si fa sempre più calda. L’esperimento ci insegna questo: una volta che si preferisce, invece di reagire prontamente e con forza per salvaguardare se stessi, il prossimo, chi ci è caro e non ultimi i valori in cui crediamo e tutto ciò che chi ci ha preceduto ha conquistato per noi a prezzo anche della vita, ci adattiamo e tiriamo a campare, con ogni probabilità si finisce bolliti (e mazziati). Il problema non è il “quando” reagire, ma il “se” reagire; con tutta probabilità la rana che finì bollita, nell’adattarsi all’acqua sempre più calda, all’inizio si è anche sentita bene al calduccio – in definitiva il cambiamento si poteva accettare – oppure pensò che «c’è chi sta peggio» e questo le ha fatto rimandare il momento in cui spiccare il salto di cui sarebbe stata capacissima, la pentola non era coperta, e che la avrebbe salvata dalla morte atroce a cui andava incontro: sicuramente poi ad un certo punto, quando il calore diventò sgradevole, commise l’errore fatale di credere che magari si trattasse di una cosa passeggera: quante volte lo stagno si era riscaldato in estate. Purtroppo, quando poi la situazione si fece davvero insostenibile a tutto intorno diventò invivibile, l’amara scoperta: non aveva più la forza di spiccare quel salto tante volte rimandato.
Mi chiedo a questo punto se il funesto esito dell’esperimento sia poi colpa solo dei sadici ricercatori, i quali, se accusati di aver ucciso la rana, potrebbero sempre obiettare che stavano facendo solo il proprio mestiere, che la pentola era scoperchiata, che la scienza – ogni scienza – può causare vittime che si chiamano effetti collaterali, che nessuno in definitiva aveva costretto la rana a rimanere nell’acqua.
E questa è una grande verità: non possiamo sicuramente aspettarci che chi causa il male altrui si preoccupi delle vittime del suo “lavoro”, che chi vorrebbe riportarci indietro di duecento anni ci venga a mettere l’ora legale all’orologio; perciò non esistono alibi: se gli “scienziati” fanno il loro lavoro, è solo e soltanto compito delle rane di tutto il mondo fare quel salto che può salvare loro stesse, i loro discendenti, gli ideali per cui altri hanno dato la vita perchè la pentola in cui erano aveva il coperchio.