Cara terra lontana”

Cara ter­ra lontana,
al tuo seno materno,
noi,
gli apolidi,
gli sradicati,
gli emigrati,
in qua­lun­que lati­tu­di­ne tu sia
da sempre
apparteniamo.
Non sono solo
le tue fra­sta­glia­te rocce,
il tuo mare azzurro,
le tue caset­te ridenti,
i tuoi auste­ri palazzi,
i tuoi anti­chi tesori,
i tuoi ine­brian­ti gelsomini,
i nostri ama­tis­si­mi cari
che in te ripo­sa­no, stanchi
e i vivi
ad invocarci.
É soprattutto,
con inten­si­tà indicibile,
la tua favella,
quel mag­ma incandescente
di parole,
di nomignoli,
di allusioni,
di epiteti,
di suoni,
di poesia,
di amore
che qui
ed ovunque
giocoforza
bistrattano
ed ignorano.
Ci man­ca da sempre,
dolorosamente,
que­sta tua dol­ce favella,
spec­chio iridescente
e poliedrico
di tut­to ciò che sei
e sei stata
nell’alterna vicenda
dei secoli.
Ci man­ca accoratamente,
visceralmente,
noi qui esistiamo
mascherati
sot­to nuo­ve spoglie,
par­lan­do una lin­gua “matri­gna”
per noi pri­va di echi ancestrali
e bisbigli,
dei doppioni
spes­so riusciti
spes­so falliti
di quel semino
che in te è germogliato
ed in te avreb­be voluto
respirare
cul­la­to dal tuo can­to di madre.

Questo articolo è stato pubblicato in Luciana Frassetto, Poesia.